Giallo
Un tuffo nel vuoto
Primo capitolo : un tuffo nel vuoto
Un’Alfa 156 verde cromo, con segni evidenti di recente riverniciatura, era posteggiata nei pressi del porto.
Robert e Thomas avevano avuto una spiata dal solito informatore circa un carico di diamanti che sarebbe arrivato quella sera.
Per Robert era il suo primo caso importante, mentre Thomas fumava tranquillo una sigaretta e sorseggiava il caffè, lui non riusciva a mantenere i nervi saldi nonostante si sforzasse di tenere un contegno adeguato.
La luna era soffocata dalle nuvole, presto sarebbe scoppiato un temporale pensò Robert guardando l’orologio.
Thomas aveva finito la sigaretta, era appoggiato comodamente al sedile e si passava la mano sui capelli bruni.
Il vetro, opaco per la salsedine, impediva una corretta visuale. Da lontano giungeva il tremito continuo e disteso del mare.
Robert teneva gli occhi sgranati su ogni macchina che passava sistemandosi continuamente i Ray-Ban da vista e azionando di tanto in tanto i tergicristalli.
«Sta fermo e Rilassati» gli consigliò il collega. Il ragazzo iniziò a tamburellare con le dita ossute sul parabrezza.
Thomas lo guardò infastidito «Insomma, smettila! o vai a casa e qui ci penso io».
Thomas era un uomo d’azione, odiava lavorare in squadra, era solitario come un puma, non si sarebbe mai sognato di portarsi dietro quella zavorra di Robert se non gli fosse stato ordinato.
Si ricordò quando sei mesi prima era stato convocato in centrale e era stato obbligato ad avere un collega che collaborasse con lui.
«Tommaso il caso è tuo, ma porta con te il ragazzo» aveva comandato il capitano
Thomas aveva subito replicato «il ragazzo!? Che ragazzo? e poi le ho sempre detto di chiamarmi Thomas!»
«Ancora con questa storia!? Finirai mai di giocare a fare l’agente straniero? vedi troppi film! scommetto che quando vai al pub ordini un martini agitato non mescolato alla James Bond» rise e continuò con tono serio «il tuo compagno o, come preferisci tu, il tuo partner è Roberto» scandì bene la parola partner per evidenziarne il sarcasmo.
L’uomo si era voltato e aveva lanciato un’occhiata veloce al giovane collega che, seduto alla scrivania, stava sistemando i fascicoli accatastandoli con un ordine ben preciso e si puliva le mani con fazzolettini di carta inumiditi.
«Odia la polvere» si affrettò a giustificarlo il capitano notando lo sguardo di disappunto di Thomas
«Ma stiamo scherzando? non posso portarmi in giro una casalinga! non è mai uscito da qui neanche per dirigere il traffico! Non c’è nessun altro?»
«Ma certo! un attimo che chiamo l’agenzia di Londra e chiedo che venga consultato l’elenco degli altri 007». Così dicendo alzò la cornetta facendo finta di comporre un numero e riattaccando esclamò «Oh che sfortuna, sono tutti impegnati in missioni più importanti che fare da socio a lei caro Thomas. Quindi no, nessun altro. Roberto è un bravo poliziotto ha solo bisogno di fare esperienza e di un buon esempio da seguire, come penso sarai tu… forse»
Thomas, vistosamente infastidito, squadrò di nuovo il ragazzo. Vide che stava lucidando un po’ impacciato lo schermo del computer
«Ma che problema ha?» e muovendo il capo fece no con la testa sorridendo perché immaginava Roberto che sclerava per una macchia sulla divisa «proprio non c’è nessun altro?» insistette
«Nessun altro. È un perfezionista in tutto! imparerà in fretta. Ora è in squadra con te. Mi aspetto grandi cose da voi due»
Thomas lasciò l’ufficio del capitano di cattivo umore e si avvicinò alla scrivania di Roberto.
«Si direbbe che questa è la tua giornata fortunata ragazzo. Non dovrai fare più caffè per nessuno. Sei con me. Per me da ora ti chiamerai Robert. Sarà un’impresa difficile ma farò di te un poliziotto d’azione» disse tra i denti. Il collega si alzò di scatto mettendosi la giacca. Thomas fece cadere la pila di carte rimescolandole tra loro e Robert sbiancò
«Ma che … fai?»
«Troppo ordine uguale chiusura mentale» concluse beffardo, soddisfatto per aver reso la scrivania del collega simile alla sua .
Uno strano cigolio lo riportò alla realtà. Vide passare un uomo in biciletta trainato dal suo pastore tedesco come un risciò. L’uomo si fermò appena vide l’Alfa 156 posteggiata.
«Ah è Biagio» disse Robert e abbassò il vetro del finestrino mentre Thomas esclamava «siamo in incognito chiudi quel maledetto affare»
Biagio per la sua apparente ingenuità e il suo essere sempre al posto giusto al momento giusto aveva spesso aiutato la polizia nelle indagini. Con il suo continuo girovagare insieme al suo cane teneva d’occhio tutto il territorio.
«Che c’è? ci sono problemi?» chiese l’uomo in biciletta che aveva riconosciuto Robert e si era accostato a loro. Senza aspettare risposta ridendo aggiunse «Ora hai la macchina? ti hanno promosso? Sei salito di grado!?»
«Stiamo sorvegliando il porto ci sono giunte delle voci…»
Thomas infastidito esclamò «vuoi chiudere quella bocca e tu circolare circolare» così dicendo si sporse e chiuse il finestrino «quale parola non ti è chiara? missione o incognito? Eh?» Robert sbuffò mentre Biagio si allontanava zigzagando.
Un lampo. Niente trattenne più la pioggia che iniziò cadere ticchettando sopra di loro. Un Tir nero iniziò a muoversi lentamente, con rapidità si aprì il portellone e una Lamborghini blu metallizzata entrò nel suo interno scomparendo.
Robert non si accorse di nulla. Thomas riuscì a intuire uno strano movimento e disse «Il camion, segui il camion svelto», ma il collega ebbe un attimo di titubanza nella partenza e la macchina gli morì più volte. Thomas imprecava «lo stiamo perdendo! lo stiamo perdendo! Sei più lento di un bradipo!» e avrebbe voluto prendere il volante al posto del collega «dai a me» mentre Robert combatteva per mantenere il suo posto continuando a girare la chiave nervosamente.
Quando finalmente mise in moto riuscì a recuperare i metri che lo separavano dal Tir che nel frattempo si dirigeva verso la tangenziale e soddisfatto si voltò verso Thomas «Visto! Lo abbiamo agganciato, abbi un po’ di fiducia, non mi fare confondere o la prossima volta mi porto i tappi per le orecchie» il partner rispose «stiamo a vedere ancora… non è finita».
Passarono con il semaforo rosso ad un incrocio accelerando per continuare l’inseguimento, Robert nello sterzare il volante per evitare una buca lampeggiò con gli abbaglianti e Thomas fece un balzo urlando «Sei un incapace così ci noteranno! poi mi chiedi di darti fiducia!» Robert mortificato e confuso continuò nella sua spericolata guida.
Il camion svoltò e imboccò una piccola via fermandosi sotto il ponte dell’autostrada. I due fermarono la macchina a poca distanza e Thomas estrasse la pistola. «Resta qui, hai già fatto abbastanza guai» ordinò al ragazzo. Avvertì la centrale e scese dalla vettura. Vide aprire il portellone e la Lamborghini sfrecciò a grande velocità. Cominciò a sparare mirando alle ruote mentre in lontananza si sentivano già le sirene della polizia e non si accorse che nel frattempo anche Robert era sceso dall’automobile.
Thomas si risvegliò dentro il tir per i sobbalzi, ricordava molto poco e aveva un gran mal di testa. Provò dolore per la ferita al braccio, aveva perso i sensi dopo che era stato colpito alla testa. Cercò la pistola ma non la trovò, intanto il camion urtava ripetutamente il guardrail. Capì che alla guida non c’era nessuno. Sentì le sirene della polizia e ripetuti colpi di sparo contro le ruote, prese a calci il portellone che era chiuso dall’esterno e, appena riuscì ad aprirlo, si buttò giù giusto appena in tempo. Il tir precipitò in un burrone mente Thomas rotolava sul ciglio della strada. Le volanti si fermarono. I poliziotti che non lo avevano riconosciuto gli puntarono la pistola contro. Aveva in mente un solo pensiero, «cosa era successo a Robert?»
Thomas finalmente identificato si alzò aiutato dai colleghi. Si portò la mano alla testa guardandosi intorno. La loro macchina era a pochi metri di distanza e lo sportello del guidatore era aperto. Thomas ordinò di recuperare il tir pensando che forse anche Robert era a bordo. Il suo sguardo si spinse verso il precipizio atterrito «Roberto era solo un ragazzo! non era un poliziotto d’azione… doveva starsene buono dietro una scrivania, era bravo a ordinare i fascicoli e lucidare il computer con quella sua insensata e fastidiosa mania per la polvere! invece no, è voluto diventare Robert! E come era bello sentire Thomas e Robert quando dalla centrale chiamavano a rapporto, mi stavo quasi abituando all’idea» così dicendo picchiò il pugno, sul cofano della macchina con tutto il dolore che sentiva per il compagno scomparso.
Passarono diverse ore prima che il camion venisse recuperato, ma dentro non c’era il corpo di Robert. Trovarono una valigetta piena di pietre preziose, che l’intervento repentino di Thomas aveva evitato che fosse portata via dai malviventi.
Il telefono squillò in piena notte, erano passati diversi giorni dall’accaduto e Thomas faticava sempre ad addormentarsi, non ricordava chi lo avesse colpito. Non riusciva a darsi pace e cercava di ricostruire tutta la vicenda. Nei suoi incubi si ripeteva costantemente l’immagine del logo dell’Alfa Romeo con il biscione che si animava e sembrava tenere tra le fauci il suo collega che dimenandosi cercava aiuto.
Si destò di scatto rispondendo. Era Nicole, la moglie di Robert che chiedeva se lo poteva andare subito a casa sua, Thomas, incuriosito dalla richiesta le rispose «vieni, ti aspetto.»
Thomas sentì suonare alla porta e andò ad aprire. La donna vistosamente pallida entrò nel suo appartamento e parlò con voce scossa «Mi hanno detto che vogliono i diamanti per liberare Robert. Il mio telefono è sotto controllo ed è tutto registrato! In nome della nostra vecchia amicizia, ti prego, devi aiutarmi».
Thomas rimase in silenzio ascoltando il nastro della registrazione. Una voce piatta e metallica indicava il giorno, l’ora e il luogo dello scambio e chiedeva esplicitamente che la merce venisse consegnata solo da Thomas, in caso contrario Robert sarebbe morto. Allora Thomas disse «Avvertirò il dipartimento di polizia e vedrai faremo il possibile e li prenderemo». La donna replicò «Così lo ammazzeranno. Vuoi questo? Tu l’hai messo in pericolo e tu lo devi aiutare».
Nel buio della notte Thomas posteggiò l’Alfa Romeo al molo. Accanto a lui la valigetta dei diamanti. Una macchina scura si fermò di fronte. Uscì un uomo, elegantemente vestito, con il viso camuffato da una maschera di Joker, Thomas scese dalla vettura.
«La valigetta» intimò l’uomo con voce roca e Thomas chiese «dov’è Robert?». Gli venne indicata una gru. Lassù in cima vide una sagoma umana. «come faccio a essere sicuro che sia lui?» disse Thomas.
Joker rispose «Consegnami i diamanti o il tuo amico farà un bel tuffo in mare e legato com’è morirà sicuramente».
A quel punto Thomas, non avendo altra scelta, consegnò la ventiquattr’ore e lo lasciò andare sapendo che nella maniglia aveva posizionato un segnalatore. Corse in direzione della gru senza perdere di vista l’ombra che vedeva in cima. Improvvisamente quella forma umana precipitò nell’abisso marino. Thomas urlò inorridito il nome di Robert, ma si girò sentendo una macchina sgommare e vide volare dal finestrino la valigetta e la maschera di Joker.
Recuperò la valigetta l’aprì e dentro trovò un biglietto: grazie da Robert. Adesso per Thomas era tutto chiaro. «Che bastardo!» esclamò.
«Ci sono diversi modi di morire» pensò Robert guardando i diamanti. Gli sfuggì un sorriso e rivolgendosi all’altro della banda accanto a lui disse «in fondo è stato facile riaverli»
Thomas stordito rimase al molo ancora per un po’pensando in che modo avrebbe dovuto giustificare la perdita dei diamanti in centrale il giorno dopo e incredulo mormorò «Robert, un ladro?».
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